Il Molise vanta un primato: la scarsa depurazione delle acque

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Di Claudio de Luca
LARINO. Al “Festival dell’acqua” di Milano si è discusso di depurazione delle acque Ed è stata delineata una “Charta” per combattere gli sprechi e per promuovere un accesso equilibrato alle risorse naturali. “Utilitalia” (ex-“Federambiente” e “Federutility”) era presente in forze, ed il suo Direttore ha detto che quello italiano costituisce l’unico esempio di dissesto di una certa entità a livello continentale. “Le cause sono molte. Innanzitutto il basso livello di investimenti. Però accade pure che, quando i soldi ci siano, le progettazioni ritardino ad essere approntate e che i lavori rimangano fermi”. Poi ci si mettono le Amministrazioni locali che, per carenza di fondi, gestiscono i servizi in economia, spesso senza di avere in organico personale adatto. Ed ecco che, parlando di acque, potremmo dire tranquillamente che nelle tubature ne arrivi di torbida al punto che l’Unione europea ha preso a multare il Paese delle “chiare, fresche e dolci acque” cantate da Francesco Petrarca.
Dunque, fra le tante emergenze che investono il territorio c’è pure quello della mancata depurazione dei reflui urbani che, naturalmente, affligge anche il Molise. Scarsi investimenti (e mala gestione!) fanno di questa regione uno dei territori più arretrati. Lo ha dichiarato, in diverse sentenze, la Corte di Giustizia europea che ora – anche per colpa della Patria di Cuoco – si prepara ad infliggere una multa salata al Paese. Sono circa 200 milioni di euro, se ci si limitasse alle condanne già inflitte; ma il conto potrebbe lievitare di tre volte se riferito a tutti i procedimenti “in itinere”. Quante, e quali, siano le sanzioni lo sapremo nel corso del 2016; perciò, per il momento, al fine di comprendere l’entità del fenomeno, basterà prendere atto che il 7% dei cittadini è scollegato dalle reti fognarie e che il 20% dei reflui non sono trattati al punto da inferire gravi danni all’ambiente. Il fenomeno molisano è veramente notevole. Un esempio? Nel 2013, a Larino, il depuratore è rimasto inattivo da aprile a luglio e l’impianto di sollevamento di “Cappuccini 2” non ha funzionato per otto mesi. Basterebbe controllare i registri di lavoro per rendersene conto; oppure collazionare le segnalazioni fatte pervenire al Comune dall’addetto alla vigilanza. Questi episodi (presumibilmente verificatisi anche negli anni precedenti) permettono di ritenere che i cittadini abbiano corrisposto la depurazione persino ad impianto fermo, facendo fronte ad utenze su cui le voci “fognatura” e “depurazione” incidono per oltre il 100%. Ciò significa che, se un mc d’acqua costa “x”, in fattura quell’importo verrà a raddoppiarsi. Naturalmente le conseguenze non sono soltanto di natura contabile perché si realizza anche un inquinamento ambientale. Difatti – per il tramite della rete fognaria cittadina – finirebbero nel Biferno acque non depurate.
Da un punto di vista contabile, nel caso di non-funzionamento degli impianti, la tariffa è dovuta dagli utenti solo a partire dal ripristino ed i gestori – sempre che ne siano richiesti – sono tenuti a restituire le somme riscosse al netto degli oneri sostenuti per l’avvio degli stessi. E’ stata sancita la natura di corrispettivo della tariffa e stabilito il principio per cui non può essere imposto il pagamento di un servizio non fornito. Il Parlamento, nel dare attuazione alla sentenza n. 335/2008 della Corte costituzionale, ha dichiarato che vanno rimborsate le somme riscosse, ritenendo illegittimo l’art. 14 della legge n. 36/1994 nella parte in cui poneva, a carico degli utenti l’obbligo di corrispondere la tariffa di fognatura, “anche nel caso in cui questa fosse stata sprovvista di impianti centralizzati di depurazione oppure quanto essi fossero temporaneamente inattivi”. Una conclusione che si basava sulla natura giuridica della tariffa, quale corrispettivo di prestazioni contrattuali, e non di tributi.

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