Italia Bio e Transizione ecologica

 


AGRICOLTURA, WWF: L’ITALIA BIO DEVE PUNTARE AL 40% DI SUPERFICIE AGRICOLA UTILIZZATA (SAU) ENTRO IL 2030 PER UNA 
VERA TRANSIZIONE ECOLOGICA 

 
 

L’Italia deve fissare obiettivi più ambiziosi di quelli indicati dalla Commissione UE con la Strategia Farm to Fork, per essere competitive le filiere agroalimentari “Made in Italy” devono poter contare sul 40% della superficie agricola nazionale gestita in agricoltura biologica entro il 2030.


Mentre la Legge nazionale sul biologico sarà presto approvata dal Senato e i consumatori continuano a premiare i prodotti biologici, anche in piena emergenza Covid, resta l’incognita del nuovo Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei fitofarmaci, scaduto nel febbraio 2018 ed insabbiato dal Governo nonostante il richiamo della Commissione Europea

 
 


Se l’Italia vuole avviare seriamente una transizione ecologica della propria agricoltura deve puntare ad obiettivi più ambiziosi, ma realistici, superiori a quelli indicati dalla Commissione UE con la Strategia Farm to Fork. Il Green Deal europeo si pone il duplice obiettivo di far diventare i prodotti alimentari europei uno standard globale in tema di sostenibilità e di dedicare all’agricoltura biologica almeno il 25% della superficie agricola utilizzata (SAU) europea entro il 2030. Per il WWF il nostro paese può e deve fare molto di più puntando almeno al 40% di SAU certificata Bio, l’Italia avrebbe così l’opportunità di vincere la sfida della competitività dei suoi prodotti agroalimentari a livello internazionale puntando sulla qualità, tutelando ambiente e salute delle persone.


Un ostacolo alla crescita del biologico è il clamoroso ritardo del rinnovo del Piano di Azione nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari (PAN pesticidi) che dovrebbe recepire un altro obiettivo della Strategia Farm to Fork, la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi in agricoltura, e fissare norme a tutela delle produzioni biologiche dalla contaminazione accidentale per la deriva dai terreni confinanti trattati con pesticidi. Il PAN pesticidi italiano è scaduto dal febbraio 2018 e dopo la consultazione pubblica conclusa nel mese di ottobre 2019 il nuovo testo resta nascosto nei meandri dei tre Ministeri competenti (Agricoltura, Ambiente e Salute), nonostante un sollecito della Commissione Europea. Con 27 lettere personalizzate ai Governi nazionali, il commissario dell’Ue per la salute e la sicurezza alimentare, Stella Kyriakides, ha chiesto che i Paesi membri dell’Unione garantiscano nell’attuazione della Direttiva UE pesticidi il rispetto immediato e completo dei requisiti legati alla Strategia Farm to Fork, il cui obiettivo è rendere il sistema alimentare più sostenibile entro il 2030, riducendo l’uso dei pesticidi del 50%. Le lettere della Commissione forniscono a ciascun Paese una serie di avvisi sulla “non conformità” nell’attuazione della Direttiva UE pesticidi e la Commissione ha indicato 82 punti su cui 23 Paesi, tra cui l’Italia, non riescono a soddisfare gli standard comunitari sui pesticidi, nonostante la Direttiva UE risalga al 2009. Le mancanze segnalate vanno proprio dalla necessità di aggiornare i Piani d’Azione nazionali alla necessità di ispezionare le attrezzature per l’irrorazione dei pesticidi.

Per il WWF il nostro Governo deve recuperare rapidamente questo ritardo nell’approvazione del nuovo PAN pesticidi per dotarsi di uno strumento efficace e coerente per raggiungere gli obiettivi della Strategia Farm to Fork e puntare ad una maggiore crescita dell’agricoltura biologica. Gli obiettivi del 40% di SAU in biologico entro il 2030 e della riduzione del 50% dei pesticidi dovranno essere indicati con coerenza sia nel PAN Pesticidi sia nel Piano Strategico Nazionale della PAC post 2020, due strumenti indispensabili per la pianificazione e promozione della transizione ecologica della nostra agricoltura.


Per il WWF la crescita del biologico è un obiettivo prioritario se vogliamo promuovere quella transizione ecologica dell'agricoltura indispensabile per affrontare con successo i gravi problemi ambientali globali, dalla perdita della biodiversità ai cambiamenti climatici. Il vero punto debole resta la conversione delle produzioni dal convenzionale al biologico che chiama in causa le scelte delle aziende agricole, ma anche quelle dell'agroindustria. Per il WWF le variabili per spingere gli agricoltori alla necessaria conversione al biologico delle proprie produzioni, se non vogliamo dipendere dall'importazione di materie prime biologiche, sono essenzialmente due: il giusto prezzo che deve essere riconosciuto ai produttori lungo la catena del valore delle filiere agroalimentari  e l’utilizzo virtuoso dei sussidi pubblici che dovrebbero premiare maggiormente tutte le esternalità positive del biologico, ad iniziare dai fondi della PAC post 2020 che rappresenta il maggiore portafoglio di fondi pubblici dedicato all'agricoltura, ma anche attraverso una fiscalità nazionale agevolata per i prodotti biologici ed una penalizzazione delle sostanze chimiche di sintesi. Il WWF propone inoltre d’inserire già nella prossima Legge di bilancio un bonus per agevolare i consumi di prodotti biologici da parte delle donne in gravidanza e dei bambini nei primi 1000 giorni di vita. Numerosi studi hanno infatti dimostrato che sono queste le categorie più a rischio per il consumo di alimenti contaminati da pesticidi, anche in piccole dosi nei limiti previsti dalle normative in vigore. Consumare prodotti biologici dal momento del concepimento ai primi anni di vita svolge una funzione di prevenzione di molte malattie croniche e per questo il loro consumo dovrebbe essere incentivato da sussidi pubblici, perché prevenire è sempre meglio di curare.  

La nuova Legge nazionale sul biologico che dovrebbe essere finalmente approvata dal Senato nelle prossime settimane, dopo oltre 2 anni di stallo, sarà un altro importante strumento per la crescita del biologico nel nostro Paese. 

La Legge prevede, tra l’altro, un marchio per l’identificazione dei prodotti biologici 100% “Made in Italy” lungo tutta la filiera e con il 40% di SAU entro il 2030 il nostro Paese potrebbe garantire prodotti di qualità con filiere agroalimentari biologiche 100% italiane in grado di competere senza rivali nel mercato globale.

 

Roma, 23 novembre 2020


Scheda di approfondimento: 

LA CRESCITA DEL BIOLOGICO IN ITALIA NEGLI ULTIMI DIECI ANNI


Negli ultimi dieci anni il biologico in Italia è quasi raddoppiato, anche senza la spinta del Green Deal, passando dal 8,7% della SAU Bio e 47.663 operatori nel 2010 all’attuale 15,8% di SAU e 80.643 operatori censiti a fine dicembre 2019 (Fonte Mipaaf – Sinab). Nel 2019 la superficie agricola coltivata senza l’uso di prodotti chimici di sintesi è aumentata del 1,8% riportando il nostro paese al primo posto in Europa, dopo la Spagna (10,1% di SAU), la Germania (9,7% di SAU), la Francia (8,1%). Sono oltre 1.993.236 gli ettari in Italia certificati Bio, di cui il 51% si concentra nelle Regioni Sicilia, Puglia, Calabria ed Emilia Romagna, il 48% della SAU è dedicata alla produzione di seminativi e ortaggi, il 28% a prati-pascoli e il 24% a fruttiferi (Fonte Mipaaf – Sinab).

L’obiettivo del 25% della SAU dedicata all’agricoltura biologica entro il 2030 indicato dalla Strategia Farm to Fork della Commissione Europea spingerà tutti i paesi membri dell’Unione alla conversione degli attuali modelli produttivi e la competizione nel mercato agroalimentare dipenderà sempre di più dalla capacità di offrire ai consumatori prodotti di qualità, sani e rispettosi della natura e del clima. Sono le scelte dei consumatori a indicarlo, anche in questi mesi del 2020 caratterizzati dalla pandemia da Covid 19. Oltre 22 milioni di famiglie italiane hanno infatti acquistato almeno una volta un prodotto biologico nell’ultimo anno, per un giro di affari complessivo di 3,3 miliardi di euro. Attualmente il consumo di prodotti biologici rappresenta solo il 4% di tutti i consumi alimentari, ma la crescita negli ultimi anni è continuamente in aumento, + 4,4% nel 2019, +180% dal 2010 ad oggi. La crescita è continuata anche nel 2020 durante il periodo del lockdown (marzo-maggio 2020) con un incremento del 11%, un indicatore di come la pandemia del Covid spinga i consumatori italiani alla ricerca di alimenti in grado di tutelare meglio la propria salute.

La GDO (Grande Distribuzione Organizzata) sta trainando la vendita dei prodotti biologici (+16,4% nell’ultimo anno), con un fatturato ormai doppio rispetto a quello dei negozi specializzati, che però continua a crescere (+3,2% nel 2019) e nel 2020 si è imposto anche l’e-commerce con l’acquisto online dei prodotti biologici per il 12,5% del totale delle vendite. Molti sono critici sul ruolo della GDO nella crescita del biologico, accusata di abbassare la qualità dei prodotti e mettere in crisi la piccola distribuzione basata sui negozi specializzati. Il WWF considera importante l'impegno della GDO per fare crescere i consumi dei prodotti biologici, una crescita che dovrebbe trascinare anche la conversione della SAU dall’agricoltura convenzionale a quella gestita con i metodi biologici e biodinamici. GDO e piccola distribuzione, insieme alla vendita diretta a Km zero, possono convivere diversificando l'offerta in relazione ai territori. Lo chiedono sempre i consumatori italiani che in una indagine condotta da Nomisma (settembre 2020) dichiarano che per garantire la salvaguardia ambientale sono necessari la lotta agli sprechi alimentari (64%), l’acquisto di prodotti italiani, locali o a km0 (42%) e l’acquisto di prodotti alimentari biologici (34%), mentre i trend che caratterizzeranno i consumi alimentari nei prossimi 2-3 anni saranno nel 32% il 100% italiano e nel 20% il biologico.

 
 
 
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